Orientamento linguistico in esperanto con il Metodo di Paderborn

Paderborn

Il mezzo propedeutico per un’Europa veramente plurilingue

Chi di noi non ricorda il tipico modello di scheletro umano in plastica, spettrale complemento d’arredo delle aule di scuola e dei laboratori di biologia, attraverso il quale generazioni di alunni di scuola elementare hanno stretto conoscenza con il sistema osseo? Questo scheletro, perfetto, completo e regolare, smontabile in singole parti, altro non è che un modello pedagogico propedeutico allo studio degli scheletri veri. Grazie ad esso, perdendo un po’ di tempo all’inizio, si riesce poi a risparmiarne molto di più successivamente, quando si affronterà l’oggetto di studio in tutta la sua complessità.
Senza necessariamente alludere allo stato di salute o all’artificialità della lingua internazionale, ecco dunque cos’è l’esperanto: uno scheletro di plastica.
Fuor di metafora, quello che ci preme qui sottolineare è che la lingua di Zamenhof appresa preliminarmente risulta esser un modello linguistico efficace, che facilita e velocizza l’apprendimento successivo di qualsiasi altra lingua. Che l’esperanto sia un vantaggioso investimento pedagogico per la glottodidattica è stato comprovato da numerosi studi sperimentali condotti già a partire dal 1918, in varie scuole e università in Gran Bretagna, USA, Finlandia, Ungheria, Germania, e anche in Italia. Gli esperimenti maggiormente degni di nota per livello di approfondimento e scientificità della ricerca sono però quelli diretti dal Prof. Helmar Frank dell’Istituto di Cibernetica Pedagogica dell’Università tedesca di Paderborn, tra la seconda metà degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, tutt’ora replicati in vari contesti. Dagli esperimenti di Paderborn è risultato che dopo due anni di “orientamento linguistico” attraverso lo studio dell’esperanto, l’acquisizione della lingua inglese è facilitata per il 30%. Più precisamente, gli esperimenti condotti dal Prof. Frank prevedevano la divisione degli studenti di scuola elementare in due gruppi, uno dei quali cominciava lo studio dell’inglese dalla terza elementare, senza studiare esperanto, mentre l’altro cominciava a studiare l’inglese in quinta elementare, dopo due anni preparatori dedicati all’apprendimento della lingua internazionale. Dai risultati sperimentali è emerso che al settimo anno, il gruppo “esperanto” eguagliava i risultati dell’altro gruppo nell’apprendimento linguistico dell’inglese, mentre all’ottavo anno addirittura li superava. Insomma, gli anni “persi” per la preparazione in esperanto risultano poi essere un guadagno in termini di tempo e competenza acquisita nell’altra lingua.
Al di là dei vantaggi strettamente legati alle abilità linguistiche, il metodo di Paderborn evidenzia ulteriori apporti positivi per la formazione dei bambini. Tanto per cominciare, grazie alla sua struttura chiara, logica e semplice, scomponibile in elementi morfologici combinabili, l’esperanto ha un’efficacia propedeutica notevole anche per l’apprendimento di altre discipline, come ad esempio la lingua madre stessa, ma anche la matematica e la geografia. L’esperanto inoltre, creando la possibilità di una comunicazione interetnica e al di là del dominio di una determinata lingua, accresce considerevolmente l’interesse dei bambini verso la diversità culturale e linguistica.
La questione dell’esperanto come strumento educativo, oltre che come possibile soluzione del problema delle lingue nelle istituzioni, fu sollevata a livello ufficiale già a partire dal 1920, in seno alla Società delle Nazioni. In una proposta di risoluzione, la SdN affermava di seguire “con interesse le prove di insegnamento ufficiale della lingua internazionale esperanto nelle scuole pubbliche di alcuni stati membri” e si augurava che tale insegnamento si generalizzasse in tutto il mondo. Nonostante i numerosi pareri positivi raccolti dalle commissioni di tecnici e specialisti in materia, la vicenda dell’esperanto nella SdN non si concluse con un lieto fine, a causa di interessi politici, economici e nazionalistici, soprattutto da parte della Francia.
In Italia nel 1995 il Ministero della Pubblica Istruzione diffuse il Documento conclusivo della Commissione per la promozione della Lingua Internazionale detta “Esperanto”, in cui si suggeriva l’introduzione dell’insegnamento dell’esperanto nelle scuole italiane. Dieci anni più tardi questo documento costituì la base per la proposta di legge sullo “Studio e uso della lingua internazionale esperanto”, presentata dai deputati Barbieri, Ranieli e Mereu, che proponeva appunto di introdurre l’insegnamento elettivo dell’esperanto nella scuola italiana. Nelle conclusioni della Commissione del 1995 così come nella proposta di legge del 2005, molto rilievo veniva dato proprio al Metodo di Paderborn: si proponeva di organizzare seminari di formazione destinati agli insegnanti di lingue straniere delle scuole elementari e si consigliava di avviare ulteriori sperimentazioni linguistiche sull’esperanto nell’ambito dell’UE.
E’ necessario ora più che mai rilanciare, riformulare ed estendere tali proposte, in via sperimentale, ma aspirando ad un’adozione del metodo di Paderborn in tutte le scuole dell’UE. L’insegnamento generalizzato dell’esperanto contribuirebbe infatti alla causa della democrazia linguistica europea a due livelli: da una parte creerebbe una base per l’eventuale adozione dell’esperanto come lingua federale; dall’altra, anche se questo fine non dovesse mai essere raggiunto, il metodo di Paderborn sarebbe di per sé un mezzo assai efficace per migliorare l’apprendimento delle lingue straniere, e quindi un sostegno valido al multilinguismo e alla diversità culturale.

Insomma, è forse il caso che il nostro “scheletro di plastica” non resti più lo scheletro nell’armadio delle istituzioni europee.

di Sara Di Pietrantonio

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