Il Parlamento europeo ha approvato ieri ricorso alla procedura della cooperazione rafforzata per la creazione del brevetto UE in tre lingue (francese, inglese e tedesco). Si è trattata di una forzatura voluta da una minoranza di 12 stati per aggirare il vincolo dell’unanimità. Un regime linguistico trilingue comporterebbe una grave distorsione della libera concorrenza sancita dai trattati europei, e sarebbe una palese violazione del principio del multilinguismo europeo. L’ottenimento di un brevetto in francese, tedesco e inglese costerebbe in media almeno il 28% in più a una piccola o media impresa italiana rispetto a una sua concorrete austriaca, irlandese o francese. Inoltre ottenere un brevetto UE diventerebbe paradossalmente più costoso per un’impresa spagnola che per un’impresa statunitense o canadese che si affacci sul mercato europeo. Il mondo politico si mobiliti per evitare che passi un regime linguistico iniquo e distorsivo della concorrenza. È necessario quindi rivendicare il diritto a un trattamento paritario delle lingue sancito nei trattati o quanto meno agire per ottenere un sistema di misure di accompagnamento stabili che correggano gli squilibri derivanti dal privilegiare una o qualche lingua ufficiale della UE sulle altre. Per esempio la creazione di un “fondo europeo per la traduzione dei brevetti” finanziato con specifici da contributi versati dagli stati le cui lingue sono privilegiate, oppure adottare un sistema di rotazione linguistico e/o l’utilizzo tecnico di una lingua neutra e non ufficiale come lingua ponte per le traduzioni. Un regime linguistico equo non è solo una questione di giustizia linguistica, ma anche di tutela della libertà di impresa e della libera concorrenza nell’Unione europea.
Michele Menciassi
Segretario Associazione Nitobe