Le università tedesche propongono ormai dal 1998 alcuni corsi di laurea interamente in lingua inglese a partire dal primo anno di bachelor. Ora però si osserva un’inversione di tendenza: l’utilizzo dell’inglese è infatti sempre più di frequente affiancato dalla proposta di corsi specifici di tedesco. L’anglificazione ha infatti comportato un effetto imprevisto, e decisamente negativo dal punto di vista sociale: l’evidente difficoltà di integrazione degli stranieri giunti in Germania attratti da tali prospettive di studio. Il tedesco continua infatti ad essere la principale lingua parlata negli ambienti lavorativi, e il suo mancato apprendimento può costituire così un possibile fattore discriminatorio per uno scambio interculturale. La forzata imposizione dell’inglese accademico mostra i suoi limiti, proprio nei giorni in cui, in Francia, la legge Fioraso ha acceso un partecipato dibattito.
Il cambio di rotta della politica accademica tedesca conferma che una formazione universitaria aperta debba essere necessariamente plurilingue. L’utilizzo dell’inglese, superficialmente associato a caratteri di apertura e internazionalismo, veicola soprattutto la tendenza a uniformare ed omologare le dinamiche di diffusione dei saperi.
Ci si rende conto come la stessa presenza dell’inglese a livello accademico tenda ad essere sovrastimata rispetto ai dati reali, come anche l’importanza della comunicazione in inglese nell’attuale società globalizzata: i dati confermerebbero invece frequenti situazioni di coesistenza plurilingue in molti contesti nazionali, anche europei (pensiamo ai casi del Belgio
e della Svizzera), che impongono la necessità di progettare una più lungimirante politica linguistica, proprio al fine di costruire una società concretamente più aperta e sensibile alle diversità.